domenica 4 febbraio 2024

PER UN 2024 DI OPPOSIZIONE CLASSISTA



Grisolia, Mortara, Spigola, Zasso

coordinamento nazionale "Le radici del Sindacato"
Milano, 26 Gennaio 2024

La linea sindacale della Cgil per tutto il 2023, ha consentito al governo Meloni di attuare politica antidemocratica e retriva che conosciamo. Per un anno intero la Cgil ha garantito al governo e al padronato una pace sociale pressoché totale. La Meloni quindi ha potuto assicurare la borghesia sull’assenza di una ripresa di conflitti sociali e ha usufruito della favorevole occasione, offertale dal segretario generale, di poter parlare al congresso nazionale della Cgil, oltretutto solo coi fischi nostri e di pochi altri.

Il taglio del cuneo fiscale per conseguire la difesa dei salari senza conflitto sociale e a vantaggio dei profitti delle imprese, viene ora rivendicato dalla Meloni, come forma di “tutela dei salari” da lei  ottenuto. Per anni la Cgil ha diffidato, ha tergiversato e si è opposta all’introduzione per legge del salario minimo, accampando come motivazione ufficiale la “libertà di contrattazione”. La conseguenza è che ultimamente partiti moderati e di destra, favorevoli al sistema, come PD, M5S e Azione, si sono inseriti nel vuoto di iniziativa sindacale, intestandosi il ruolo della difesa dei lavoratori più poveri, precari e sfruttati, in pratica dei nuovi schiavi. 

La peculiarità della politica Cgil negli ultimi anni è stata di ottenere tavoli di informazione o di verifica sulle riforme presentate dai governi che si sono succeduti, senza o con rari scioperi generali. Tavoli quindi a cui la Cgil si è seduta senza avere alcuna forza contrattuale.

L’emarginazione della Cgil è apparsa particolarmente evidente quando il governo si è incontrato con i partiti dell’opposizione parlamentare sul tema del salario minimo. Il gruppo dirigente della Cgil, vedendosi sostituito nella trattativa, ha dovuto reagire e affermare il proprio ruolo politico e tentare di ripristinare lo storico riconoscimento che la Cgil ha avuto in passato. In questo contesto la Cgil ha risposto con una manifestazione nazionale il 7 ottobre a Roma e il 17 novembre con uno sciopero dei lavoratori dei trasporti (che ha provocato reazionari tentativi di precettazione da parte di Salvini) e del pubblico impiego e sempre il 17 novembre con uno sciopero generale contro la legge di Bilancio nel centro Italia, il 24 novembre nelle regioni del Nord e il 1° dicembre in quelle del Sud e nelle Isole. Gli scioperi generali così frantumati non hanno avuto la visibilità e nemmeno l’efficacia dello sciopero generale nazionale, fatto in uno stesso giorno da tutti i lavoratori del paese. Inoltre accettando di ridurre il numero delle ore in determinate categorie sotto la pressione delle precettazioni di Salvini, ha fatto apparire la Cgil ancora più arrendevole e perdente. 

In questa confusa e contraddittoria situazione il gruppo dirigente Cgil, per riaffermare il proprio protagonismo, ha promosso un referendum abrogativo del Jobs Act. Questo rinnovato protagonismo dell’apparato Cgil è solo apparente, perché non si traduce in una svolta di linea a favore dei lavoratori, del conflitto e della lotta di classe. Nessuna scelta è stata presa perché i lavoratori e le lavoratrici possano pronunciarsi democraticamente su obiettivi, tempi e iniziative di lotta. Nessun passo avanti è stato compiuto sul terreno del conflitto. Nessuno scontro sociale è stato programmato. È necessaria invece un’iniziativa di classe del movimento operaio e dei lavoratori, insieme a un cambio di direzione politica della Cgil. 

Il riflusso del movimento operaio ha fornito le condizioni più favorevoli alla presente degenerazione reazionaria. Se non si determina un sussulto nel movimento operaio e nella classe lavoratrice, non si ricostruisce uno sbarramento a questa restaurazione retriva di stampo neofascista. 

In questi anni, alcuni settori d’avanguardia sindacalmente evoluti hanno spesso promosso e proclamato azioni concrete di sciopero generale. Il ripetersi della proclamazione di scioperi generali da parte di questo o quel sindacato di base, è avvenuta per guerre scoppiate fra Stati e popoli nemici (Russia-Ucraina, Israele-palestinesi), per rivendicazioni classiste (chiusure di fabbriche e licenziamenti) e per la crisi dello stato sociale (pensioni e sanità). Ma la verità è che oltre a non sapersi unificare, il sindacalismo di base non ha la forza per ergersi ad alternativa alla Cgil, l’unica ad aver un bacino di massa nella classe operaia. 

È la Cgil che più di ogni altro deve opporsi con determinazione alla volontà sionista di genocidio del popolo palestinese. Il crudo conteggio delle vittime sta salendo a Gaza e in Cisgiordania dove i massacrati arriveranno prestissimo a 30 mila. L’Area deve attivarsi ed essere in prima linea affinché la Cgil aderisca e sostenga attivamente lo sciopero del 23 febbraio per la Palestina, proclamandolo anche lei.

Per noi ogni iniziativa di lotta è ovviamente benvenuta, come nel caso degli scioperi dei facchini della logistica guidati dal SI Cobas o dei lavoratori dei trasporti proclamati dalla CUB o dei lavoratori e delle lavoratrici di servizi sanitari e della distribuzione alimentare indetti da SGB. Vi è però un’esigenza fondamentale che tutti i sindacati di classe uniscano le proprie forze e trasformino le lotte particolari di settore in lotta di classe generale. Gli scioperi disarticolati dei sindacati di base non costituiscono un fronte unico di classe. Il fronte unico di classe è la sola ancora di salvezza che può arrivare fino alle masse, raggiungerle e trascinarle insieme, liberate e rimotivate da condizionamenti e controlli. Lo sciopero generale vero è quello che coinvolge milioni, non migliaia di lavoratori e lavoratrici. 

Oggi la Cgil è l’organizzazione che ha il radicamento di classe e la forza per convocare uno sciopero generale vero. La sua forza non può e non deve essere limitata ad azioni puramente dimostrative e di facciata. Occorre una piattaforma che unisca innanzitutto tutti i salariati e componga attorno ad essi altri lavoratori appartenenti al gruppo sociale alternativo.

Una grande battaglia per forti aumenti salariali su rivendicazioni unificanti ha oggi la priorità assoluta, considerato il pesante sprofondamento che i salari hanno subito in Italia, tenendo conto che il 2024 è anno di rinnovi per numerose categorie, a cominciare dai metalmeccanici. Sarebbe ora di evitare di affidare la battaglia salariale unicamente o prevalentemente alle vertenze di categoria, crediamo che sia opportuno aprire una rivendicazione generale unificante di almeno 400 euro di aumento netto per tutti i salariati e di reintrodurre una scala mobile sui salari. Si eviterebbe in questo modo di introdurre divisioni fra lavoratori con la riduzione del cuneo fiscale, l’espansione e l’utilizzo del welfare aziendale in luogo degli aumenti di paga (con la conseguenza della distruzione della sanità e della previdenza pubbliche e universali), di attuare progetti di autonomia differenziata che è solo l’espressione sotto cui si nasconde il desiderio di tornare al periodo pre-unità d'Italia, con la privatizzazione di tutti i servizi sociali (Sanità, Scuola e Trasporti) e con la reintroduzione delle gabbie salariali e di quelle che possiamo tranquillamente chiamare “gabbie sanitarie”. 

Il ripristino del “vecchio” articolo 81 Costituzione, scevro del pareggio di bilancio, salva i cittadini dai tagli della spending review. Un salario minimo per legge (di almeno 12 euro l’ora, indicizzato al costo della vita e a carico dei padroni, 1500 euro netti mensili) dovrebbero entrare a far parte della battaglia generale sul salario.

Per ricostruire l’unità del lavoro salariato è indispensabile la cancellazione di tutte le leggi sul precariato. Il punto non è solo l’abolizione del Jobs Act, la reintroduzione dell’articolo 18, la sua estensione a tutte le imprese. Va fatta una campagna per informare i lavoratori che nei fatti la garanzia che avevamo di fatto acquisito con la Legge 300 del 1970 è stata fortemente depauperata, in quanto i padroni possono comodamente applicare la clausola del licenziamento per motivi economici e cavarsela con un indennizzo senza reintegra. Alla campagna va affiancata la concreta battaglia per ripristinare la norma originaria. L’intera legislazione contro il lavoro varata da tutti i governi negli ultimi 30 anni va abolita. I lavoratori precari devono essere assunti con contratti a tempo indeterminato; per l’assunzione dei lavoratori in nero va introdotto il reato penale per i padroni; tutta la legislazione sugli appalti che ha aumentato fortemente gli omicidi sul lavoro va abolita; il controllo delle condizioni di lavoro di ogni lavoratore è tassativa, a partire dalla sicurezza.

La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario punta a ricomporre l’unità tra lavoratori salariati e la massa dei disoccupati. La rivendicazione di un salario dignitoso (di almeno 1200 euro netti) per i disoccupati che cercano lavoro, deve unirsi a una battaglia per la ripartizione del lavoro fra tutti.

La legge Fornero deve essere abolita. Il governo Meloni ha completamente disatteso come era prevedibile qualsiasi promessa circa la sua correzione. Anzi il governo è riuscito a peggiorarla: Opzione Donna, infatti, non è una soluzione idonea per andare in quiescenza anticipatamente, perché il calcolo verrà operato con il sistema contributivo tagliando il diritto acquisito dopo anni di lavoro del 30%-35%, taglio che durerà per tutto il periodo nel quale verrà corrisposta la pensione. Anche le altre soluzioni temporanee di pensionamento anticipato (Quota 103, Ape Sociale) sono state peggiorate con le misure introdotte con la legge di Bilancio 2024. Quota 103 è peggiorativa rispetto alla precedente Quota 102 del governo Draghi, a sua volta peggiorativa rispetto alla Quota 100 del governo giallo-verde. Quota 103, non solo prevede una somma più alta tra anni di contribuzione (41 di contributi) ed età anagrafica (62 di età), ma introduce anche meccanismi punitivi legati al sistema di calcolo contributivo, al tetto di 2.800 euro, alla dilatazione del tempo delle finestre di accesso e al rinvio del TFR, disposizioni che portano a decurtazioni massicce. Quota 103 ha interessato comunque un gruppo davvero ristretto di pensionati e per Ape Sociale, anche i requisiti anagrafici sono stati resi più severi. Non soddisfatto, il governo Meloni, ha annunciato la soppressione della Quota 103 a favore di Quota 104, la quale era ancora più restrittiva, avendo una platea ancora più limitata di aderenti e perciò è stata ritirata. Non resta quasi nulla della proposta del governo Meloni, dopo il fallimento di Quota 104 e la mancata promessa del fantomatico Fondo della flessibilità in uscita.

È evidente che il continuo attacco alle pensioni, è anche la conseguenza di una Cgil che in pubblico difende la pensione pubblica e poi in tutti i contratti nazionali inserisce i fondi pensione, avendo un effetto negativo devastante per le conquiste fatte con anni di lotte e andare a contribuire di fatto all'arricchimento delle società assicurative e finanziarie note per le loro speculazioni. Idem per i fondi sanitari.

Fondi sanitari, austerità e privatizzazioni neanche troppo mascherate hanno devastato quel che resta della sanità pubblica. La nuova manovra aumenta apparentemente il Fabbisogno Sanitario Nazionale (FSN) di 3 miliardi per il 2024, 4 miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026, ma si riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL che precipita nel 2026 al 6,1% (molto al di sotto della media Europea, in Germania e Francia siamo al 10%). Infatti non è previsto alcun piano di nuove assunzioni. Si tratta di ricostruire un sistema sanitario pubblico di qualità, con il raddoppio dell’investimento nella sanità pubblica (e la fine e la requisizione di quella privata).

Per ripubblicizzare pensioni sanità e trasporti, occorrono misure anticapitalistiche come la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori della grande industria. Questo piano di lavoro richiede una patrimoniale straordinaria di almeno il 10% sul 10% più ricco. Queste rivendicazioni costituiscono una piattaforma di lotta per una gestione della società da parte dei lavoratori e un programma verso una società più giusta.

La CGIL è oggi l’unica grande organizzazione di massa del movimento operaio che può metterla in campo. Occorre uno strumento di combattimento contro la linea dei governi e dei partiti della borghesia. 

La nostra battaglia interna ha proprio questo scopo, trasformare la Cgil da strumento spuntato a vera e propria arma del conflitto per la classe operaia. Purtroppo dobbiamo rilevare che per tutto il 2023, di fronte al quadro appena descritto, la nostra Area sindacale è andata sostanzialmente a rimorchio della maggioranza Cgil, con pochi voti contrari, molte astensioni, e in alcuni casi addirittura voti a favore, cioè a favore del nulla della maggioranza Cgil.

L’Area continua ad essere impalpabile. Si presenta alle “passeggiate” della Cgil senza volantini, con striscioni difficilmente distinguibili da quelli di una fabbrica: quale lavoratore o lavoratrice potrà mai capire che esiste anche un’altra Cgil oltre a quella burocratica? Il sito continua ad essere più secco dei fiumi italiani. Scomparso dal radar ogni vero e proprio dibattito telematico che una volta l’animava tra un’assemblea del coordinamento nazionale e l’altra. Assemblea del Coordinamento Nazionale che sembra più orientata a contrastare con cavilli pretestuosi la nostra “minoranza della minoranza” che a illustrare e a difendere la sua proposta, come è successo l’ultima volta in cui siamo stati accusati di non difendere la GKN, di aver criticato i sindacati francesi.... Saremmo anche stufi di dover rispondere ai paladini del “merito” che hanno l’unico merito di mettere tutto sul piano dei cavilli pretestuosi perché non sanno davvero argomentare una critica. Ci rivolgiamo infatti più al resto della platea che al gruppo dirigente che ha dimostrato più di una volta di non aver vera curiosità per un confronto intellettualmente onesto.

L’insignificante 2023 della Cgil appena descritto, è la premessa di un ancora più insignificante 2024. All’orizzonte, con questa Cgil, ci stanno rinnovi contrattuali bidone e un avanzamento ulteriore della destra. Il nostro compito di minoranza crediamo sia denunciare l’immobilismo Cgil in tutte le sue salse, dalle manifestazioni al sabato senza sciopero, a quelle divise per tre o per quattro con scioperi fuori tempo massimo e sostanzialmente innocui. Salutare lo sciopero generale – il prossimo pare sia previsto per marzo – criticandolo come “insufficiente” come regolarmente fa il gruppo dirigente di RdS, fa il gioco di Landini. Lo “sciopero generale telefonato”, non è insufficiente, è al contrario “più che sufficiente” per la forza massima di un sindacato impotente, un sindacato al servizio della burocrazia, contro i lavoratori. A 100 anni dalla morte di Lenin, il nostro compito, sia senza che con sciopero, è smascherare la burocrazia per quello che rappresenta: i luogotenenti del capitale in seno alla classe operaia, coloro che sono preposti a sfiancarla fino a farla deragliare verso il baratro di un’altra sconfitta. Sarebbe anche ora che il gruppo dirigente di RdS, autoproclamatosi classista, lo capisse.


La Cgil deve essere indipendente da ogni partito, fermo restando che ogni iscritto può scegliere il Partito (esclusi quelli a carattere fascista o razzista) e esprimere liberamente le posizioni all’interno del sindacato, nell’ambito di regole conseguentemente democratiche. È questo il vero programma della Cgil per il 2024. Ed è per questo che noi diciamo no alla linea della Cgil in tutte le sue varianti. Non perché siamo contrari a priori, come continua ripetere il gruppo dirigente di RdS, ma perché, lo ribadiamo, per votare a favore deve esserci davvero un cambio di linea, il passaggio da una finta battaglia burocratica a una spinta vera verso il conflitto di classe. Cosa che, come il 2023 ha dimostrato, non c’è stata come puntualmente abbiamo previsto come minoranza della minoranza. Non ci voleva molto, ma è un fatto che abbiamo visto un po’ più lontano di portavoce e gruppo dirigente. Ci fa piacere essere gli occhi migliori di RdS, ma preferiremmo che per il 2024, il gruppo dirigente li aprisse. Sarà come li avesse aperti a Lenin e al marxismo.

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