giovedì 22 febbraio 2024

METALMECCANICI: UNA PIATTAFORMA MODESTA E BUROCRATICA

 



La piattaforma per il rinnovo dei metalmeccanici è da sempre il termometro della tornata contrattuale in generale. E quella varata da Fim-Fiom-Uilm non cambia lo spartito che va avanti da almeno tre rinnovi.

Vengono chiesti 280 euro al livello C3 (ex V°) in 3 anni, dal 1° luglio del 2024 al 30 giugno del 2027. E siccome il C3 è il livello dei sogni, perché la maggior parte dei metalmeccanici sta al di sotto, diciamo che la richiesta è tra 250 e 260 euro lordi, cioè tra i 180 e i 200 netti. Con l’inflazione che ha galoppato e che forse sta rallentando ma che comunque non recuperiamo mai grazie all’indice IPCA, è un po’ pochino per non dire niente. Se poi pensiamo che in trattativa subirà un’ulteriore sforbiciata dai padroni, se tutto va bene non andremo molto più in là di 150 euro netti in tre o quattro anni, visto che anche lo scorso rinnovo si partiva con una richiesta di aumento dell’8% per un triennio e si finiva col firmare per quattro anni e mezzo molto al di sotto della richiesta.

A sentire controparte e purtroppo anche parecchi delegati vagamente d’avanguardia, i metalmeccanici, dopo un decennio di magra, sconterebbero gli ultimi due anni di presunti mirabolanti aumenti che li avrebbero riportati in cima alla classifica delle categorie. Con oltre 100 euro di aumenti l’anno scorso e il probabile bis quest’anno (ma aspettiamo a cantare), dal contratto bidone firmato quattro anni fa, sembrerebbero spuntati petali di rose. È anche per questo che pare non si possa chiedere molto di più. Come metalmeccanici sembra che dobbiamo essere contenti se abbiamo recuperato meno della metà dell’inflazione dell’anno scorso, e niente rispetto a profitti e produttività del comparto che oggi sono ormai materia praticamente extrasindacale. C’è chi ha fatto peggio ci dicono. Vero, ma c’è anche chi come gli americani del sindacato UAW che ha fatto meglio. Chi prende come punto di riferimento il peggio è perché appunto non vuole migliorarsi.

La formula dell’attuale contratto prevede che l’aumento contrattuale sia adeguato ex post (sei mesi dopo) all’indice IPCA. L’IPCA è un indice balordo dell’inflazione, depurato dei costi energetici. È tarato sul paniere padronale del profitto. A farla breve riconosce meno della metà dell’inflazione reale. Per anni non ha dato che pochi spicci di aumenti, da 2 a 20 euro massimo. L’anno scorso con l’impennata dell’inflazione anche l’IPCA, che era previsto al ribasso, ha dovuto adeguarsi e dare oltre 100 euro di aumento ai metalmeccanici. Di qui l’entusiasmo di una burocrazia che evidentemente non conosce le proporzioni. Tra i 2 euro di aumento di qualche anno e fa e i 100 dell’anno scorso, non cambia niente. I 2 euro come i 100 euro corrispondono sempre a meno della metà dell’inflazione reale da recuperare.

Inoltre non bisogna dimenticare che la clausola dell’assorbimento degli aumenti, nel caso di buste paga con superminimi oltre il livello contrattuale, ha fatto prendere gli aumenti dell’anno scorso solo ad alcuni metalmeccanici. Gli altri se li son presi sui denti grazie a una burocrazia che deve sempre fare una prova sulla nostra pelle delle clausole di salvaguardia dei padroni. Oggi infatti la burocrazia fa marcia indietro e chiede di “rivedere” tale clausola. E rivedere si sa, non è abolire.


La parte economica reale è tutta qui, ben lontana dai 400/500 euro che servirebbero. Ben lontana sopratutto dal “superare” l’indice IPCA e l’impianto a perdere che resta sempre il medesimo.


C’è infatti la conferma del welfare, con la richiesta di altri 50 euro da aggiungere ai 200 euro di soldi sostanzialmente in nero, e scommettiamo che la otterremo visto che i padroni son sempre felici di non pagare le tasse. Otterremo anche l’adeguamento a 4 euro di aumento dei fondi a metasalute, il fondo per la sanità integrativa che siccome non funziona, funziona a meraviglia per il risparmio della controparte. Si chiede di rafforzare anche l’altro fondo, Cometa, quello per le pensioni integrative per incentivare nuove iscrizioni. E anche questo scommettiamo sarà facile portarlo a casa.

Già più difficile sarà ottenere i 700 euro di soldi reali chiesti per l’elemento perequativo per chi non fa contrattazione interna. La richiesta è identica a quella del precedente rinnovo, 700 euro, segno che 4 anni fa non l’abbiamo ottenuta nonostante la modestia della richiesta.

Si richiede l’aumento della paga del 100% per altri due mesi di congedo parentale. Lodevole, per quanto minimo anche qua, ma evidentemente non è lì che si gioca il rinnovo, come non si gioca su un aumento per altro non precisato su indennità di trasferta e reperibilità. E non si gioca nemmeno la sicurezza sul monte ore a disposizione della RLS. 36 ore in più, in mancanza di un padrone che spenda quello che serve per tutelare i dipendenti, crea solo un altro burocrate in più a difesa dei suoi privilegi anziché dei lavoratori.


Si chiede che il premio possa essere trasformato in ore di permessi. Con le prospettive economiche che ci ritroviamo è un assist per la controparte che sarà ben felice di premere per la rinuncia al premio per un paio di settimane di ferie in più quando magari non c’è lavoro. Pagheremo insomma per stare a casa, l’esatto contrario del concetto storico di ferie.

Sulla stessa lunghezza d’onda l’apparente rivoluzionaria richiesta di riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore, a parità di salario. Una riduzione lenta, progressiva, attenta a far aumentare “la produttività e la competitività”, cioè a non far perdere un soldo ai padroni che devono essere rassicurati fin dalla richiesta, tarata più sulle loro esigenze che su quelle dei lavoratori. Più che una richiesta di riduzione d’orario è una richiesta di sperimentazione modello Cisl. E sappiamo già cosa ha in mente la Cisl: una sperimentazione magari triangolata col governo che paga a debito l’azienda che sperimenta la riduzione d’orario. Paga insomma la collettività per una riduzione d’orario a tavolino che farà guadagnare i padroni per la durata dell’esperimento e poi tanti saluti, visto che una riduzione vera d’orario può essere ottenuta solo con la lotta dura. E non è di questo tipo di riduzione d’orario che si fa carico la piattaforma.

Penosa come al solito la parte normativa. Invece di chiedere l'abolizione di appalti e subappalti con cui ogni padrone si divide per due o per tre diventando fantasma, si chiede di normare il cambio d’appalto garantendo nel cambio i lavoratori. Si chiede insomma che appalti e subappalti siano finalmente un diritto come si deve per i lavoratori. Dello stesso tenore la richiesta di freno ai contratti interinali che non devono superare i 24 mesi, per poi magari trasformarsi in apprendistato (2 livelli al di sotto del normale inquadramento) per altri mesi di sfruttamento selvaggio. Richieste analoghe c’erano già quattro anni fa. Il punto è che finché ci saranno appalti e “interinalato”, i padroni avranno sempre mille scappatoie per fregare i salariati in un modo o nell’altro.

Il resto è tutta una serie di enti bilaterali e corsi di formazione burocratici che non spostano di una virgola il valore pesantemente insufficiente di una piattaforma che non modificherà in nulla i rapporti di forza, anzi pure nel migliore dei casi farà perdere ulteriore terreno ai lavoratori.

È una piattaforma modello FIM-CISL. Lo si capisce dal fatto che è stata cestinata la vecchia e sacrosanta richiesta FIOM che chiedeva aumenti uguali per tutti dal 3° al V° livello (D2 e C3 nella nuova declaratoria). Ora come vuole il padrone, chi ha di più prenderà di più. Cestinata anche la vecchia idea della FIOM di smetterla di contrattare categoria per categoria, puntando a un unico contratto dell’industria. Invece si continua a dividere i lavoratori in mille contratti come premessa per ottenere poco o niente per tutti. Lo si capisce soprattutto dal fatto che tale piattaforma chiede poco più di quel che si ipotizza offriranno i padroni. Nel più classico stile FIM-CISL, lo stile di chi accetterà l’offerta della controparte spacciandola poi per domanda ottenuta. Il contributo della Fiom consisterà nella pretesa, come l’altra volta, dei due o tre scioperi telefonati che consentiranno alle imprese di ammortizzare ulteriormente l’aumento piccolo che dovranno esborsare.

Una piattaforma del genere andava bocciata e rispedita al mittente come tutte le altre piattaforme a perdere. Anche per incoraggiare i lavoratori a pretendere di più quando sarà ora di votarla. Se non modificano loro l’andazzo, si condanneranno ad altri tre anni di miserie. La minoranza Cgil, come suo solito si è astenuta, in ossequio al suo vero nome, Le Radici centriste dell’astensione che è sempre più solo il simbolo di un’alternativa poco più che televisiva. Astenendoci ci siamo già preclusi di poter alzare la voce in assemblea con credibilità. Se i lavoratori si ribelleranno come speriamo a questo andazzo non sarà per merito della prima minoranza Cgil.

La piattaforma conferma tutto ciò contro cui ci battiamo, dall’indice IPCA al welfare ai fondi integrativi. Non mette in discussione niente del percorso sindacale che ha portato i lavoratori italiani ad essere il fanalino di coda dell’Europa. Anche la richiesta leggermente più alta non inverte nulla, rientra nella dialettica delle cose. Primo perché anche 4 anni fa si partiva con una richiesta dell’8%. E secondo perché coi due ultimi anni di iperinflazione, non si poteva partire con meno, anche se il Corriera della Sera già piange e protesta velatamente perché la previsione inflattiva per il prossimo triennio è di 150 euro. Il motivo dell’astensione della minoranza nostra è del tutto irrazionale e burocratico.

Solo Le giornate di Marzo, l'altra minoranza interna, ha votato contro e ha fatto bene. Va a sapere però se è stato fatto con cognizione di causa o per posizionamento interno. Non dimentichiamo infatti che quattro anni fa erano nate come Giornate di Marzo in scissione dalla minoranza che oggi si chiama RDS, perché avevano previsto la II Rivoluzione d’Ottobre nell’autunno caldo di Landini e compagnia bella. Fin dall’esordio si sono contraddistinti per una serie di astensioni non dissimili dall’altra minoranza. Se oggi quindi hanno votato contro è perché probabilmente, dopo la riedizione in salsa italiana della Rivoluzione d’Ottobre, ora da tre anni si sentiranno in piena guerra civile...


Luigi Sorge
Lorenzo Mortara









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