domenica 26 novembre 2023

LEGGE DI BILANCIO: ANALISI CRITICA



di Achille Zasso



Il testo per la Legge di Bilancio 2024 è arrivato in Parlamento.

In merito al problema della sanità sono cambiati, rispetto alle prime bozze, i tetti di spesa per la farmaceutica.

Il tetto di spesa farmaceutica per acquisti diretti (farmaceutica ospedaliera) è stato rideterminato nella misura dell’8,5 per cento a decorrere dall’anno 2024, mentre il tetto della spesa farmaceutica convenzionata (farmaceutica territoriale) è stato rideterminato nel valore del 6,8 per cento a decorrere dal medesimo anno.
Rispetto a precedenti bozze della legge, a decorrere dall’anno 2024 c’è stata una riduzione del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti (fatti dagli ospedali), che era fissato precedentemente nella misura dell’8,6 per cento, mentre il tetto della spesa farmaceutica, che si attestava al 6,7 per cento, quest’anno è aumentato al 6,8 per cento.

Nella redazione dell’ultima bozza si è passati ad un peggioramento della spesa farmaceutica a svantaggio degli ospedali e ad un incremento della stessa spesa a vantaggio del territorio e dei singoli.

In tema di remunerazione alle farmacie, cambiano notevolmente le disposizioni che prevedono un rimborso diverso dei farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale.

Tali cambiamenti preannunciano modifiche pari a 0,1 euro per ogni confezione di farmaco. Ma questa cifra diventerà successivamente 0,115 euro, a partire dal 1° gennaio 2025.

All’articolo 44 [Rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica] il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera per acquisti diretti, è rideterminata nella misura dell’8,5 per cento a decorrere dall’anno 2024. Conseguentemente il tetto della spesa farmaceutica è rideterminato nel valore di 6,8 per cento a decorrere dal medesimo anno.

Il sistema di remunerazione delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di Servizio sanitario nazionale è costituito da una quota variabile e da quote fisse.

Per confermare e rafforzare la rete delle farmacie sul territorio nazionale sono riconosciute quote fisse aggiuntive per ogni farmaco erogato dalle farmacie.

In questo modo vengono incentivati e favoriti l’attività svolta e il reddito incassato dalle farmacie (che già oggi realizzano consistenti guadagni per l’alta mole di farmaci venduti nel nostro Paese).

La conseguenza della misura è che vengono fortemente diminuiti gli sconti e penalizzati i risparmi che potrebbe realizzare il Servizio sanitario nazionale. Ma guadagni ben più consistenti sono realizzati dalle grandi multinazionali farmaceutiche (Big Pharma) che, soprattutto durante la pandemia hanno accumulato profitti di dimensioni inimmaginabili e sulle quali è necessario fare una discussione a parte ed esigere dal governo misure per il risparmio della spesa farmaceutica, che in questa Legge di Bilancio non ci sono e sicuramente non rientrano nelle strategie e nei programmi del governo.

All’articolo 10 [Rifinanziamento del Fondo CCNL per il personale pubblico per il triennio 2022-2024], sempre in merito al tema della sanità vengono sbandierati dal governo, in aggiunta a quanto previsto in un precedente decreto legge di 2 miliardi, finanziamenti stanziati di 3 miliardi di euro per l’anno 2024, di 4 miliardi per l’anno 2025 e di 4 miliardi e 200 milioni a decorrere dall’anno 2026.

Questi stanziamenti sono davvero una bazzecola, rispetto ai bisogni della sola Sanità, mentre dovrebbero servire addirittura per tutta la Pubblica Amministrazione.

Per di più, le disposizioni si applicano anche al personale convenzionato della Sanità privata.

Per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale gli oneri comprendono anche i riconoscimenti finalizzati a valorizzare la specificità medico-veterinaria e di altro personale.

Le risorse stanziate nella Legge di bilancio sono in modo allarmante insufficienti.

Se si considera l’Articolo 42 [Rifinanziamento del Servizio sanitario nazionale] si capisce che con questa misura il governo riconosce di non aver raggiunto assolutamente l’obiettivo che si è preposto.

Il finanziamento incrementato dovrà provvedere al: rinnovo dei contratti, l’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive per il personale operante nel Ssn, la rideterminazione dei tetti della spesa farmaceutica, le modifiche alle modalità di distribuzione dei medicinali, le misure di abbattimento delle liste di attesa, l’osservanza, il rispetto e l’aggiornamento dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), l’aggiornamento dei costi della spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati, l’indispensabile potenziamento della medicina e dell’assistenza territoriale, l’organizzazione e il funzionamento dell’ “Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della povertà” (Inmp).

Le risorse stanziate non basteranno assolutamente a coprire a tutti questi bisogni.

L’Articolo 43 [Incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive per il personale medico e per il personale del comparto della sanità operante nelle Aziende e negli Enti del Ssn] costituisce un rattoppo, un tampone, un inadeguato rimedio che dovrebbe servire a far fronte alla carenza di personale nel Servizio sanitario nazionale, per ridurre le liste di attesa ed evitare che si ricorra alle esternalizzazioni. Si fa ricorso così agli incrementi delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive, aumentando la libera professione intra moenia e la specialistica privata.

Gli aumenti vengono estesi dal 2024 al 2026, a tutte le prestazioni svolte dal personale medico e dall’altro personale.

Le prestazioni aggiuntive e l’indennità nei servizi di emergenza-urgenza terminano il 31 dicembre 2026.

Non sono perciò una misura strutturale perché terminano il 31 dicembre 2026, ma fanno parte nei provvedimenti contingenti e di incremento della sanità privata attuati da questo governo.

All’art. 46 [Misure per l’abbattimento delle liste di attesa], in merito alle liste di attesa la Meloni ha annunciato in una conferenza stampa il loro abbattimento, mediante l’incremento delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive.

Le liste di attesa comportano ulteriori costi ed esigono altre risorse che nella legge non sono previste.

All’art. 47 [Aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati], viene aumentato il limite di spesa stabilito del decreto 95/2012 per l’acquisto di visite specialistiche ambulatoriali e ospedaliere da privati, partendo da 1 punto percentuale per l’anno 2024, a 3 punti per il 2025 e a 4 punti per il 2026.

Viene dato così libero sfogo alla brama di profitto dei padroni della sanità privata, che interverrà massicciamente a danno della sanità pubblica e del Servizio sanitario nazionale.

All’art. 11 [Misure in materia di imposte], le tasse sulle sigarette aumentano, come pure il tabacco riscaldato e trinciato per le sigarette “fai da te”. Aumenterà il tabacco trinciato, per il quale è previsto un rialzo di 20 centesimi per ogni busta da 30 grammi. Ci saranno anche delle variazioni annuali per le sigarette elettroniche, con un aumento dell’1% nel 2025 e 2026.

Aumenteranno i prodotti con nicotina e senza nicotina. Anche la tassazione del tabacco riscaldato avrà un rialzo con aumenti nel 2024 e nel 2025 mentre nel 2026 ci sarà un successivo incremento in percentuale. Neanche le sigarette elettroniche e il tabacco riscaldato vengono preservati.

Un calendario di aumenti su base triennale riguarderà le sigarette elettroniche che aumenteranno di un punto percentuale per il 2024 e per 2025. La novità più negativa avverrà il 1° gennaio 2026, perché la tassazione salirà al 42% dall’attuale 38,5.


In merito al problema delle pensioni.

I sindacati medici e non medici hanno iniziato la lotta contro le modifiche molto peggiorative sulle pensioni previste dalla legge di Bilancio.

La riduzione delle aliquote di rendimento dei contributi previdenziali versati prima del 1966 è molto contestata e combattuta dai sindacati medici e non medici, perché danneggia e deruba la pensione a quasi il 50% del personale attualmente in servizio con una perdita tra il 5% e il 25% dell’assegno pensionistico annuale, che può essere peggiorato ulteriormente dal meccanismo dell’aspettativa di vita.

L’art. 33 [Disposizioni in materia di adeguamento delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali] introduce modifiche per alcune categorie di dipendenti pubblici sui criteri del calcolo delle quote di trattamento pensionistico liquidate con il sistema retributivo.

I dipendenti pubblici interessati sono gli iscritti alle cassa degli enti locali (CPDEL), cassa per le pensioni dei sanitari (CPS), cassa per le pensioni degli insegnanti (CPI) delle scuole primarie pubbliche e private, cassa per le pensioni agli ufficiali giudiziari (CPUG), i quali saranno fortemente penalizzati.

La modifica dei criteri di calcolo delle quote di pensione consiste nella ridefinizione delle aliquote di rendimento. In base all’articolo 33, la riduzione pensionistica adottata nella legge di Bilancio diventa particolarmente pesante per gli iscritti alle varie casse.

Allorquando, dal 1° gennaio 2024 queste pensioni verranno liquidate secondo il nuovo sistema per le anzianità inferiori ai 15 anni, le rendite pensionistiche verranno calcolate con l’applicazione della tabella dell’Allegato II dell’attuale legge Finanziaria. Invece per le anzianità superiori ai 15 anni continuerà ad essere applicata la tabella dell’Allegato A legge 26 luglio 1965, n.965.

L’agitazione e la lotta messe in campo dal personale medico e non medico è dovuta al conflitto che questi dipendenti hanno aperto contro il governo, che vuole fare cassa sui diritti acquisiti e sulle pensioni dei/delle lavoratori/lavoratrici.

Questo nuovo sistema permette al governo di fare cassa sulle pensioni con soldi che dovrebbero essere recuperati nell’evasione fiscale, contributiva, ecc.

L’art. 29 “Perequazione automatica dei trattamenti pensionistici per l’anno 2024”, modifica relativamente all’anno 2024, la disciplina transitoria già vigente per il medesimo anno in materia di indicizzazione – cosiddetta perequazione automatica – dei trattamenti pensionistici, compresi quelli di natura assistenziale.

Nel 2023 il trattamento minimo delle pensioni INPS ha due importi 572,20 euro al mese per 13 mensilità per chi ha meno di 75 anni che sale a 599,82 euro al mese per tredici mensilità per chi ha almeno 75 anni. Per poterlo percepire bisogna: essere titolari di pensione con almeno un contributo versato prima del gennaio 1996 e non superare determinati limiti di reddito.

Il governo poteva anticipare ai pensionati a fine novembre il pagamento della perequazione, come hanno fatto altri governi, visto che l’inflazione galoppa. La copertura parziale dell’aumento dei prezzi e il meccanismo delle perequazioni è un istituto da difendere con i denti.

Bisogna sottolineare che l’aumento delle pensioni si fa con un anno di ritardo sull’aumento dei prezzi, quando già corrono i nuovi aumenti dell’anno.

Le risorse destinate ai pensionati sono una misura anticrisi in tutte le situazioni. Si tratta di denaro tutto destinato al rientro nel ciclo produttivo, nell’economia reale senza cedimenti ai mercati, alle rendite, ai profitti, alle speculazioni, all’evasione fiscale, all’esportazione di capitali, al parassitismo delle rendite milionarie.

L’articolo 30 “Ape e opzione donna” (commi 1 – 3) modifica la disciplina degli istituti APE sociale e Opzione donna, elevando, in primo luogo, il requisito dell’età anagrafica per l’accesso ai medesimi (da 63 anni a 63 anni e 5 mesi per l’Ape sociale e da 60 a 61 anni per Opzione donna).

La disposizione prevede che il nuovo regime di APE sociale si applichi fino a tutto il 2024 e che l’Opzione Donna estenda il relativo beneficio anche alle lavoratrici che abbiano maturato i requisiti al 31 dicembre 2023.

Da ricordare che con l’Ape Sociale, al compimento del requisito anagrafico dei 63 anni, è riconosciuta un’indennità per una durata non superiore al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell’età anagrafica prevista per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia.

La Legge di Bilancio stabilisce che per l’Ape sociale le possibilità di fruirne sono prorogate sino al 31 dicembre 2024, ma che per i soggetti che si trovino in possesso dei requisiti richiesti l’età anagrafica è aumentata (peggiorandola) a 63 anni e 5 mesi.

La norma di nuova introduzione proroga per l’anno 2024 la prestazione APE sociale, introducendo una modifica peggiorativa per i/le lavoratori/lavoratrici, diretta a incrementare il requisito anagrafico da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.

I soggetti che hanno i requisiti possono presentare domanda per il loro riconoscimento dell’APE sociale entro il 31 marzo 2024, ovvero (in deroga a quanto previsto dal DPCM 88/2017), entro il 15 luglio 2024. Però le domande presentate successivamente a tale data (e comunque non oltre il 30 novembre 2024) sono prese in considerazione solamente nel caso in cui siano ancora disponibili le risorse finanziarie a ciò destinate.

Già originariamente, quando queste misure furono decise nei confronti delle categorie deboli e fragili che ne erano le destinatarie, gli istituti giuridici che dovevano garantire le prestazioni si rivelarono non convenienti e di gravosa applicazione.

Oggi, con questa legge finanziaria, le condizioni per fruire della pensione vengono peggiorate, aumentando il requisito dell’età anagrafica di cinque mesi per APE sociale e azzerando quasi totalmente Opzione donna. Alle donne senza figli vengono caricati 3 anni di lavoro in più (due aggiunti con la manovra dell’anno scorso ed uno in più per tutte, con la manovra di quest’anno).

Le caratteristiche della misura adottata sono quelle di ammortizzatori sociali piuttosto che di pensioni anticipate, di difficile raggiungimento, perché per ottenerle le lavoratrici aspiranti devono avere a carico familiari non autosufficienti con invalidità del 75%, o essere licenziate. 

L’approvazione di questa legge di bilancio, produce il risultato che la legge “Fornero” non solo viene lasciata totalmente intatta e totalmente produttrice dei devastanti effetti che conosciamo, ma anzi che vengano gettate le premesse per un suo peggioramento ed esasperazione.

Viene ribadito l’innalzamento dell’età pensionabile, legandolo alla riesumazione dell’aspettativa di vita, introdotta nel 2011 dalla Fornero e bloccata nel 2019 dal primo governo Conte.

A partire dal 1° gennaio 2025, con l’innalzamento degli anni di vita registrati dagli indici ISTAT, verranno aumentati i requisiti di anzianità e non basteranno più 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne), ma occorreranno anzianità ben superiori per potere andare in pensione.

I 41 anni sbandierati da Salvini, quali superamento/aggiramento della legge “Fornero” e coronamento di questo fine legislatura, non ci saranno sicuramente e le previsioni più attendibili sono che già dal 2025 si andrà in pensione a 43 anni.

Un peggioramento deve essere denunciato anche per “quota 103” e per opzione donna. Quest’ultima, per la pesante diminuzione di pensione che produce a causa del calcolo effettuato con il sistema contributivo, non deve essere né mantenuta, nè corretta, ma definitivamente abolita.

Il “contrordine” impartito dal governo Meloni su quota 104, in un primo tempo promessa e subito dopo ritirata ritornando a quota 103, non smorza il giudizio negativo soprattutto per le pesanti penalizzazioni sull’importo della pensione, calcolata tutta con il sistema contributivo.

Lo stesso aumento delle finestre, con 7 mesi nel privato e 9 nel pubblico, rendono ancora più inaccettabile o odioso il sistema, per l’intollerabile allungamento dei tempi fra la maturazione del diritto alla pensione e il pagamento del primo assegno pensionistico da parte dell’Inps.

Quota 103, anche quando fu introdotta, non rappresentava affatto una soluzione condivisibile, perché permetteva di andare in pensione con 41 anni di lavoro, ma al compimento di 62 anni di età, quando si sa che soprattutto al nord numerosi sono gli operai che hanno fatto 44 anni di lavoro in fabbrica.


Art. 59 [Investimenti INAIL in edilizia sanitaria]

L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) può destinare parte delle risorse finanziarie alla realizzazione e all’acquisto di immobili per le esigenze di ammodernamento delle strutture sanitarie e di ampliamento della rete sanitaria territoriale.

È necessario sottolineare che l’Inail, come gli altri organi di stato 9 (magistratura, ispettorato del lavoro, ecc.) coinvolti nei processi per gli infortuni sul lavoro, devono essere meno di parte e svolgere il loro compito in maniera imparziale, riconoscendo che le morti (che sono spesso veri omicidi) e gli infortuni sul lavoro sono causati da responsabilità precise delle aziende e dei datori di lavoro.

Frequentissimi sono i casi del negato riconoscimento di morte provocata ad operai e cittadini a causa del contatto con l’amianto, nei quali le proprietà e i padroni non sono neppure minimamente coinvolti e considerati responsabili.




Milano, 23.11 2023

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